Meolo. La storia di Roberto: dal lavoro in Guardia di finanza a quello di accoglienza dei minori con l’associazione Il Giardino di Hana
La Vita del Popolo, 9 giugno 2023
Fino a 3 anni fa Roberto Meloni lavorava nella Guardia di finanza, a lungo era stato elicotterista, più recentemente aveva accettato un posto d’ufficio per ricavare tempo da dedicare al percorso diaconale conclusosi con l’ordinazione nel 2016. Licenziatosi dal “posto fisso” ha aperto, con l’associazione di cui è presidente, “Il Giardino di Hana” una comunità educativa residenziale che ospita fino a otto minorenni, una parte dei quali provenienti dal circuito penale e dove, dunque, il progetto comunitario costituisce l’alternativa alla pena.
Cagliaritano d’origine, veneziano d’adozione, insieme alla moglie Annalisa ha scelto di giocarsi in questo modo la vita, mettendo al centro – fin dall’inizio del matrimonio – il valore dell’accoglienza. Lo fa tra Musile di Piave e Meolo dove l’associazione, da loro fondata, gestisce la realtà della comunità familiare “Il piccolo fiore”, la comunità educativa diurna “L’albero di Franci” e, ora, anche la comunità educativa residenziale “L’altra riva”.
Riuscire a parlare con loro, di loro, è una impresa difficile, perché le priorità che abitano le giornate di Roberto e Annalisa sono – giustamente – altre: un ragazzo che non ce la fa più e, per il pressing feroce della sua “vita precedente“, vuole scappare, oppure è in crisi di astinenza e ha bisogno di ascolto; un servizio con l’ennesima emergenza da risolvere; un turno da coprire se l’educatore si è ammalato.
Fortuna che hanno un valido gruppo di lavoro e una rete amicale di sostegno, perché a guardar dentro alla loro esperienza, c’è tanto di tutto: la responsabilità all’accoglienza di vite complicate e ferite, l’impegno di essere diventati datori di lavoro per oltre una decina di persone, dovendosi orientare dentro a un mondo normato – quello del terzo settore – che a volte pare più appesantire che liberare opportunità. E, in tutto questo, restare una famiglia che con le sue fatiche, le sue imperfezioni, i suoi riti, le sue risorse, si apre alla cura dell’altro, orientando i propri pensieri e le proprie azioni sempre al bene.
Un grande girotondo
All’inizio della storia di Roberto con Annalisa c’è l’esperienza, nei primi anni di matrimonio, dell’affido di Hana, una bimba piccolissima che oggi ha 21 anni e, come dice il significato del suo nome, è un “fiore” sbocciato. Ma soprattutto ci sono la vicinanza e l’amicizia fraterna con Diana e Giampietro che a Musile nei primi anni 2000 stanno portando avanti l’esperienza della comunità famigliare “Il Girotondo”. Alla loro “scuola” si sono formati anche Icio e Betty Caldato che nel 2005 hanno dato vita al Granello di Senapa e un’altra coppia che farà lo stesso a Cinto Ca’ Maggiore.
Sono gli anni in cui Roberto e Annalisa decidono di costituire “Il Giardino di Hana” e di diventare comunità familiare, per poter rispondere in modo più appropriato ai bisogni di chi veniva loro affidato. Da allora, oltre 40 bambini e ragazzi sono stati accolti nella loro famiglia e accompagnati, a volte per tratti brevi di vita, altre molto più lunghi. “E’ stata fin da subito una chiamata a metterci al servizio dell’infanzia, a partire da quella più sofferente – racconta Roberto -. Il dono di noi e della nostra famiglia, anche con tutte le nostre difficoltà, è stato con lo scopo di offrire una risposta a chi viveva situazioni di grave vulnerabilità, credendo fermamente nella possibilità per i loro genitori di fare un percorso e tornare a riaccogliere in casa i propri figli”.
Comunità familiari, accreditate in Regione per accogliere fino a 6 minori, ce ne sono pochissime nei nostri territori, soprattutto gestite dall’associazione Papa Giovanni. Alcune, dopo diversi anni, hanno terminato il loro impegno. Perché non è mica facile accogliere minori che sembrano “scolapasta” tanti sono i loro buchi – ormai soprattutto preadolescenti e adolescenti -, stare in dialogo con tutti i servizi collegati – sociale, scuola, tribunale -, gestire genitori sovente molto arrabbiati e con gli avvocati agguerriti, avere personale educativo da integrare nella dinamica familiare, seguire le questioni burocratiche.
Tuttavia, nel 2010 viene aperta la Comunità educativa diurna: “Ci siamo accorti che la familiare non risolveva il problema dell’allontanamento; era invece importante supportare le famiglie d’origine per prevenire l’acutizzarsi di un disagio che, se non contenuto, poteva anche portare alle separazioni”. Ci hanno lavorato molto e con intelligenza per qualificare “L’albero di Franci”: non uno spazio dove scaricare i ragazzi durante il giorno con l’avvallo dei Servizi sociali, non un luogo per fare i compiti e rispondere a richieste prestazionali, ma un vero e proprio servizio educativo a sostegno dei minori e delle loro famiglie.
Sfida sull’altra riva
Ma lo Spirito soffia e lavora su chi si lascia modellare, giorno per giorno, e accoglie le intuizioni, a volte davvero sfidanti agli occhi dei più. E spinge ad andare avanti. Roberto comincia il percorso diaconale, che è sempre una esperienza di famiglia, e nel 2016 viene ordinato diacono dal vescovo Gianfranco Agostino Gardin. “E’ stato un cammino spirituale compiuto un piccolo passo alla volta, dove ci siamo sempre sentiti bene, rafforzati nella preghiera, sostenuti nell’accoglienza quotidiana”. Il bene crea la strada al bene: “Abbiamo cominciato ad immaginare di aprire una comunità educativa residenziale per quei ragazzi che si sono persi e non vuole più nessuno perché nessuno scommette nemmeno una moneta bucata su di loro” raccontano. Per alcuni anni sono andati a conoscere cosa esiste sul territorio, con quale approccio educativo, quale modello gestionale.
Nel luglio del 2019 l’associazione “Il Giardino di Hana” si decide per un impegno importante, una sfida nuova e tutta da giocare: acquista una abitazione con 3 ettari di terreno a Meolo, avviando l’attività di serra e una fattoria con capre, asini e pony, un progetto di autosufficienza energetica con la creazione di un impianto fotovoltaico galleggiante, lo spostamento della comunità educativa diurna (fino ad allora nella casa di famiglia della Comunità familiare a Musile di Piave), l’apertura nell’aprile 2020 in piena pandemia dell’educativa residenziale “L’altra riva”.
“Accogliamo fino a otto minorenni, una parte dei posti è riservata a ragazzi in misura cautelare. E con loro abbiamo tanti nuovi progetti in mente: un laboratorio di falegnameria, uno spazio per la didattica scolastica, una produzione agricola più importante, l’ippoterapia”. Le idee però camminano sulle gambe di chi cammina e richiedono tutto l’impegno e la solidarietà di quanti, insieme a loro, credono sia giusto condividere e dedicare attenzione all’altro, come espressione della propria visione esistenziale.
Se tutti mollano, noi no
L’impegno con tutti i ragazzi accolti, quelli di “L’altra riva” in modo più forte, ma non è di meno all’educativa diurna “L’albero di Franci” e alla familiare “Il piccolo fiore”, resta sempre lo stesso: accogliere, costruire rispetto reciproco e fiducia, generare bene. “Il buon Dio – spiega Annalisa – non può creare cattiveria; capita di perdere la bussola della bontà del cuore ma, se si parte dal presupposto del bene, non si può che vedere il bene. Si trova il male quando si sta cercando il male. E per fare il bene serve riceverlo da qualcuno”. Di sicuro, la scelta di aprire una comunità residenziale con alcuni posti destinati specificatamente a minori inseriti in percorsi penali, è ardua: spesso senza alcun punto di riferimento positivo o familiari alle spalle, non compromessi da circuiti criminali, vite dure, con diverse forme di dipendenza, di violenza e prevaricazione agita e subita.
Capita a Roberto e ai suoi educatori che i ragazzi li sfidino apertamente e in modo molto concreto; è come se insistentemente e drammaticamente chiedessero: “Se sono ancora cattivo, mi vuoi lo stesso?”. “Ci sono volte in cui sono tanto arrabbiato per quello che scelgono e soprattutto non scelgono per la loro vita. Ma alla fine, sopra ogni cosa, resta il fatto che noi qui gli vogliamo bene e non li molliamo. Noi ci saremo sempre per dare loro una possibilità”.
Essere padri diventa questo e, alla fine, raccoglie il frutto di qualcuno di loro che, concludendo l’esperienza nell’appartamento di sgancio che l’associazione gestisce, sussurra con un filo di voce: “Se questo consiglio me lo dai tu, io mi fido”.
Si perdono soldi, tanti, tempo, tantissimo, vita. Ma l’accoglienza – dicono al Giardino di Hana – vale sempre la pena.