Agordo. Assolto operatore della casa di riposo accusato di violenza sessuale verso una ospite

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Il Gazzettino, 26 maggio 2022

IL CASO BELLUNO Assolto Davide Barresi «perché il fatto non sussiste». Si tratta del 52enne operatore socio sanitario originario di Catania che secondo la pubblica accusa aveva violentato sessualmente un’anziana della casa di riposo di Agordo dove lui lavorava all’epoca dei fatti. Un vero colpo di scena che ribalta la condanna in primo grado inflitta dal tribunale di Belluno, pari a 5 anni di reclusione, interdizione perpetua dai pubblici uffici, 5mila euro di risarcimento alla parte offesa. Tutto annullato. Barresi, secondo la Corte d’appello di Venezia, è innocente e il giudice si è preso 90 giorni per le motivazioni. Difficile, quindi, spiegare cosa abbia influito per arrivare a una sentenza opposta rispetto alla precedente. Barresi era difeso dall’avvocato Valentina Mazzucco. Non si è mai lasciato interrogare, non ha mai negato gli addebiti, non si è mai fatto vedere. Eppure è stato assolto. La difesa, in dibattimento, aveva sostenuto che non era possibile delineare specifiche condotte delittuose, in capo all’uomo, e nemmeno stabilire con certezza se la presunta violenza sessuale fosse tentata, consumata o inesistente. Dall’altra parte c’erano numerose versioni, spesso diverse, ma sempre peggiorative, riguardo a ciò che sembrava essere accaduto in casa di riposo. Le forniva l’anziana, assistita dall’avvocato Valentina Gatti, che forse non è stata ritenuta credibile. Nell’istruttoria dibattimentale erano stati ascoltati 10 testi: i carabinieri che avevano svolto le indagini, alcuni operatori della rsa di Agordo, l’educatrice-psicologa dell’anziana, il direttore della struttura, il consulente del pubblico ministero, ossia il medico psichiatra Tullio Franceschini, e il curatore Stefano Bettiol. Mentre l’anziana era già stata ascoltata in sede di incidente probatorio dal giudice delle indagini preliminari Enrica Marson.
LA RICOSTRUZIONE Tre gli episodi contestati a David Barresi dalla Procura di Belluno, tutti all’interno della casa di riposo dove l’uomo era in servizio. Con alcune scuse, stando a quanto aveva raccolto la pubblica accusa, l’oss era riuscito a portare l’anziana in posti isolati dove l’avrebbe molestata e violentata sessualmente. Un giorno, ad esempio, con il pretesto di raggiungere le macchinette del caffè per offrirgliene uno, l’avrebbe accompagnata negli scantinati della struttura polifunzionale e lì sarebbero scattati i primi palpeggiamenti nei confronti dell’anziana. Ma per il pubblico ministero l’uomo si era spinto ben oltre, arrivando perfino ad allungare le mani nella biancheria intima di lei e a baciarla più volte e in modo insistente alla bocca. In un altro episodio, raccontato dalla parte offesa, si sarebbe anche spogliato davanti a lei. Dopo circa un mese e tre episodi di violenza sessuale (presunta), la denuncia. L’anziana si era confidata con un’assistente sociale, quella con cui non aveva timore di parlare, ed erano partite le indagini. Nell’incidente probatorio, il dottor Daniele Berto, psichiatra dell’Usl 16 di Padova, aveva effettuato alcuni test alla donna per accertare la sua capacità a testimoniare e la risposta era stata positiva.
PRIMO GRADO Il processo si era tenuto a porte chiuse (a causa delle norme varate dal governo per limitare la diffusione del covid) e il pm, nella sua requisitoria, aveva chiesto il minimo della pena previsto per il reato di violenza sessuale, cioè 6 anni di reclusione (il massimo è 12 anni). Il tribunale di Belluno, ritenendolo colpevole, l’ha condannato a 5 anni. Ma da qualche giorno l’impianto accusatorio è crollato. La Corte d’Appello di Venezia l’ha assolto da tutto ciò che gli veniva contestato perché il fatto non sussiste.

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