Case di riposo del padovano, i provvedimenti per proteggere gli ospiti e garantire gli incontri con i familiari

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Il Mattino di Padova, 9 ottobre 2020

Difendere la cristalleria senza chiuderla in cassaforte, mentre all’orizzonte si profila un nuovo tornado. Con questo obiettivo, prima ancora che cominci a piovere, nelle case di riposo è tornato ad alzarsi il livello di allerta – mai realmente abbassato – dopo che la prima ondata di Covid ha spazzato via tante decine di vite. Una sfida, assicurano i gestori delle strutture, che corre su un filo sottile chiamato a tenere insieme una salute fisica spesso molto precaria e una condizione mentale fiaccata dopo i lunghi mesi di isolamento degli ospiti. Non a caso il direttore generale dell’Usl 6 Domenico Scibetta ha definito le case di riposto «bombe biologiche»: «Lo sono sempre state, ci sono stati anni in cui l’influenza da sola ha fatto più vittime del Covid» commenta il presidente dell’Ira Fabio Incastrini. «Una casa di riposo è come una famiglia di oltre 100 persone, tutte in stato di salute precario, in cui l’influenza è mortale, e il Covid complica tutto» conferma Davide Vecchi, componente del Cda della Residenza al Parco di Galzignano.
Intanto gli anziani sono costretti a fare i conti con una quotidianità stravolta da incontri programmati e distanziati, se non addirittura filtrati da barriere, tamponi periodici e spazi riorganizzati per ospitare “reparti Covid”. «Abbiamo una decina di posti deputati, qualora dovessero rendersi necessari, ma servirebbe una struttura ad hoc per accogliere i pazienti Covid positivi di tutte le case di riposo della Bassa» rivela Francesco Lunghi, direttore sanitario del Centro Servizi per Anziani di Monselice, 156 ospiti, attualmente Covid free «abbiamo chiesto alla Regione di aprire un reparto con una cinquantina di posti nell’ex ospedale di Monselice, in questo modo si ridurrebbe il rischio di contagio nelle strutture evitando di sottrarre personale al servizio ordinario».
Al momento, nella maggior parte delle strutture, gli ospiti possono ricevere una visita a settimana, in stanze con accesso dall’esterno, tavoli che garantiscono il distanziamento sia tra visitatori e ospiti che tra i singoli tavoli. «Se il virus torna a diffondersi chiudiamo tutto per 24-48 ore» chiarisce Lunghi «“sigilliamo” l’astanteria con personale dedicato e ci confrontiamo con l’Usl sul da farsi».
In caso di ospiti terminali, in molte strutture è previsto che i parenti, adeguatamente “scafandrati”, possano andare al capezzale del congiunto per un ultimo saluto. Questa possibilità è stata recepita, ade esempio, a Monselice, come anche a Galzignano e a Padova, mentre alla Pietro e Santa Scarmignan di Merlara il protocollo è rimasto ancora piuttosto “ingessato” dopo che il Covid ha decimato gli ospiti con 34 decessi. Quarantotto gli anziani attualmente presenti, tutti negativi. La scia di lutti ha imposto alla presidente Roberta Meneghetti, un particolare rigore: «Stavamo giusto cominciando ad aprire alle visite in presenza, quando abbiamo sentito dei primi casi nelle strutture residenziali» rivela «e abbiamo bloccato tutto: non è previsto in alcun modo l’accesso di visitatori, né un contatto diretto». Gli ospiti possono vedere i loro cari solo attraverso il vetro, sorvegliati: «Non è una vita facile né felice, ma siamo molto preoccupati che l’incubo possa ripetersi, l’esperienza che abbiamo vissuto ha segnato sia gli ospiti che gli operatori, anche per questo non abbiamo abbassato la guardia» prosegue Meneghetti «i nostri anziani purtroppo si stanno adeguando a un’esistenza dimessa e poco festosa, visto che sono limitate anche le interazioni tra di loro. Dei 34 decessi, solo 23 erano positivi, gli altri sono morti per le conseguenze psicologiche del Covid, per loro è stata come una guerra» conclude la presidente che considera «inevitabile» l’apertura di una struttura esterna per i pazienti positivi delle case di riposo.
Proprio la tenuta psicologia preoccupa anche il presidente dell’Ira: «Da mesi abbiamo innalzato il livello di guardia, tuttavia dobbiamo poter garantire un equilibrio tra la salute fisica e psicologica dei nostri ospiti che non possono essere sottoposti a una sofferenza continua e prolungata dovuta all’isolamento» assicura. Al momento all’Ira, è previsto un reparto Covid attrezzato per 20 posti, mentre i nuovi ingressi restano in quarantena, come da protocollo: «Abbiamo scritto anche delle lettere ai dipendenti per sensibilizzarli ulteriormente, sollecitandoli a stare attenti per sé e per gli altri» aggiunge Incastrini. Al momento non si contano infetti nemmeno tra i circa 100 ospiti di Galzignano: «Abbiamo organizzato una zona rossa per eventuali sintomatici, una arancione per gli asintomatici e una gialla per negativi con sintomi in attesa di tampone» rivela Vecchi «e siamo molto attenti alle gestione degli operatori che possono essere un veicolo assieme ai rientri dall’ospedale e ai visitatori, per cui gli incontri avvengono con divisori di plexiglass».
Dubbi, invece, sul fronte tamponi rapidi previsti per i visitatori: «Aspettiamo le norme attuative per capire se la dotazione sarà sufficiente per sottoporre a test ogni visitatore» chiarisce Vecchi «diversamente, una tantum, non ha senso». Un’idea condivisa anche da Incastrini che presiede una struttura che tra le tre sedi e i centri diurni accoglie 5-600 persone: «Noi ci siamo già attrezzati con dei test rapidi per i dipendenti, anche perché ci sembra eccessivo aspettare 30 giorni tra un tampone e l’altro. Diversamente, con una media di 80 visite al giorno, per garantire i test rapidi agli esterni servirebbero degli infermieri e bisognerebbe ragionare non solo sui costi, ma anche sulla possibilità di reperire il personale necessario».

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